Tesi 3: La democrazia è il fine della scuola

Il fine della scuola non è la competitività nazionale, non è l’aumento del PIL, non è la trasmissione dei sacri valori del passato, non è  mettere in condizione gli studenti di inserirsi nella vita lavorativa, e non è nemmeno la conquista della loro felicità individuale. Il fine della scuola è la realizzazione di una autentica democrazia nazionale ed internazionale.
Una definizione minima di democrazia è quella che la fa coincidere con la pratica delle elezioni. E’ democratico quel sistema nel quale il popolo ha la possibilità di scegliere la classe politica che lo rappresenterà attraverso lo strumento del voto. A questa definizione minima corrisponde molto spesso - ed è il caso del nostro paese - una pratica della democrazia meno che minima: moltissimi non votano, e chi vota lo fa in molti casi in modo poco consapevole, mentre non manca il voto di scambio. La prassi di base necessaria per il funzionamento della democrazia nella sua accezione minima è una prassi difettosa: di qui la fragilità di tutto il nostro sistema democratico, da sempre esposto a derive autoritarie o populistiche (più spesso le due cose insieme).
La democrazia è fatta di regole formali - le elezioni, la Costituzione, la divisione dei poteri eccetera - ma più ancora è fatta di valori e di prassi condivise.  Essa  tende verso quella che Aldo Capitini chiamava omnicrazia, il potere di tutti. E’ innegabile che vi sia del vero nella teoria dell’élite di Pareto, Mosca e Michels: anche nelle democrazie il potere è concentrato nelle mani di gruppi ristretti. E tuttavia bisogna combattere affinché questo potere oligarchico sotto la copertura della democrazia diventi effettivamente un potere distribuito, attraverso il momento intermedio del controllo popolare. Da questo si riconosce il tasso di democrazia di una nazione: da quanto il potere è distribuito; da quanto potere effettivo hanno tutti i cittadini. Potere che non va inteso come potere-su (quello che Danilo Dolci chiamava dominio), ma come potere-di, la possibilità di realizzare sé stessi, di soddisfare i propri bisogni, di essere riconosciuti singolarmente e comunitariamente.
Il tema del potere si lega inevitabilmente a quello della differenza. Una società democratica è un cerchio che si apre continuamente per ricondurre al centro i soggetti che sono sospinti al margine dalle dinamiche sociali ed economiche; è, anzi, una società che ripensa le proprie dinamiche sociali ed economiche affinché nessuno sia sospinto al margine.
Il fine della scuola è dare il suo contributo, che è essenziale, alla creazione di una democrazia così intesa. Se la felicità individuale deriva da molti fattori, sui quali la scuola non può influire (ma ha il dovere di non rendere infelici gli studenti e di offrire loro strumenti per affrontare la sofferenza psicologica), la felicità collettiva, nella quale può essere possibile quella individuale, è legata alla democrazia. Una società democratica - lo dice la Costituzione - lavora per rimuovere quelle disparità economiche, di potere, di status che creano sofferenza e discriminazione. Costituisce la necessaria premessa politica della felicità.